Da quando tu non ci sei
cammino
bevendo una birra
dietro l’altra
per perdere
l’equilibrio, cadere,
perché mi cadano
di tasca i ricordi
che non voglio tenere,
per riuscire a smarrire
il tuo nome insieme
alle chiavi di casa,
inciampare in qualcosa
sbucciarmi
un ginocchio o il palmo
della mia mano, come
quand’ero bambino,
ma soprattutto
per poter urlare
insulti diritti
in faccia
a chi tenta ogni volta
gentilmente
di farmi rialzare.
Sì, vorrei litigare, picchiare
farmi picchiare,
sanguinare, magari
smettere di pensare,
dimenticarmi
in qualche modo di te.
Invece finisce
che a quelle persone
io dico grazie, alla fine.
Ogni volta sorrido
loro, non faccio le scene,
ogni volta
dico: “Grazie,
grazie sto bene,
non si preoccupi
molto gentile”.
Sarebbe facile
talmente facile farsi odiare
dal prossimo,
che proprio non riesco.
Mi sembra
di non riuscire
a fare più nulla
di quello che voglio
da quando tu non ci sei.
Eccezion fatta per quello
che ho appena detto: bere
una birra
dietro l’altra, inciampare, cadere,
farmi aiutare, poi
ringraziare, non litigare, e poi
ritrovarmi
di nuovo a pensare
un pensiero
usato e banale,
quando
ripresa la strada, una mano
nella tasca dei pantaloni ritrova
ancora una volta
le chiavi di casa,
attaccate
a quel portachiavi di legno
su cui è inciso
il tuo nome.

af