Ritorno alla casa di quand’ero bambino,
sto in piedi, nel mezzo
di sala, davanti al camino. Ricordo
che passavo ore intere a guardarlo.
Di quella nicchia nel muro, io allora
conoscevo due cose sole:
che si usava per scaldare la casa
e che da lì passava Babbo Natale.
E ai miei sei anni sembrava giusto
che fosse quello
il suo punto d’ingresso. E normale
l’idea che i regali avessero un nesso
con il calore del focolare.
Fu perciò molto triste scoprire
che esistevano case diverse
da casa mia, che non c’era,
come pensavo io, un camino
nella casa di ogni bambino.
La mia mente già razionale,
che lo collegava direttamente
ai sistemi per riscaldare,
teorizzò così che Babbo Natale
col suo abito rosso e il sacco
pieno di doni, nel caso
non trovasse un camino potesse
passare dai termosifoni.
Mi convinsi insomma che avesse
oltre agli altri anche il potere
di liquefare se stesso,
il suo sacco, fluire
nei tubi, goccia a goccia colare
fuori, tornare umano, lasciare
regali, farsi acqua di nuovo.
Ero così certo della mia teoria
che corsi a dirla a un’amica
mia, che sapevo
non avere il camino. Pensavo
sarebbe stata felice. Mi disse
che ero un vero cretino.
A casa sua Babbo Natale
– mi spiegò – non trasudava
dai tubi dell’acqua, passava
semplicemente dal davanzale.
Per questo la sera del ventiquattro
da lei si lasciava
una finestra socchiusa,
per evitargli, pensai, l’imbarazzo,
di doverla forzare, o peggio un’accusa
di furto con scasso.
Non dissi nulla all’amica mia,
ma non mi piaceva per niente
l’idea di quella finestra scostata,
mi provocava un brivido
come d’aria gelata.
E ancora adesso, davanti
a questo vecchio camino, io scelgo
di dare assurda ragione
alla mia teoria del termosifone,
che forse era sciocca, ma almeno
aveva il gusto dolce dell’utopia.
E nel ripensarla oggi son molto felice
che a sei anni la cosa
che mi sembrasse più razionale,
la più facile a cui pensare,
fosse un mondo in cui a Natale
ogni mio simile avesse un regalo,
e, soprattutto, una casa
al cui interno ci fosse
calore.


af