Ogni sera, vedendoti
tornare a casa per la mia strada
mi domando il tuo nome.
Fermarti e chiederlo non mi è possibile:
non ho fiato, né voce
che siano adatti alla luce
della tua chiara bellezza.
E nemmeno ho la forza,
di lanciarti un saluto, per farlo
dovrei muovere queste braccia
che sono due stecchi
rinsecchiti e ritorti,
e tu le vedresti. Vedresti
quanto non siano adeguate
le mie piccole braccia! Quanto
dovrebbero essere forti
mi chiedo
per poter sfiorare il tuo viso?
Quando tu passi io
non mi muovo,
semplicemente ti seguo,
con questi occhi rotondi, incapaci
di vedere davvero, imbrogliati
e confusi dall’armonia
dei piccoli passi attenti, che batti
sul vialetto ghiacciato.
Ti salverei se cadessi?
Ci proverei, ma senza riuscirci.
Io non so fare null’altro
che restarmene immobile
mentre mi sfili davanti.
Io non so fare
null’altro che tendere
questo vuoto sorriso
da una guancia all’altra e sentire
il peso di questo ventre
troppo gonfio d’angoscia e
ansia e bianca paura.
E pregare,
mentre tu passi, un’assurda preghiera,
ogni volta: “Ti prego
non fermarti a guardarmi,
non voltarti e sorridermi, oppure
io morirò”
Che tu non lo sai,
ma inevitabilmente si scioglie
a lasciarsi ardere il cuore
nel petto
un pupazzo di neve.

af