Ogni tanto
ti vedo ancora,
chiudendo gli occhi
rivedo la sera
che mi aspettavi
nuda, in cucina
con un calice in mano,
la luce piccola
delle candele, che tremolava le ombre
di tutte le cose
che avevi fatto in frantumi.
Ogni tanto
nel buio
dei miei occhi chiusi ritrovo
ancora le onde
delle tende coi fiori
mosse dal vento, le giostre
bianche di fumo
delle tue sigarette e la musica
che si attaccava
dalle pareti, lenta.
Com’era bello
stringerti, allora!
Com’era bello
che tu non mi amassi
e che avessi
il profumo
dei fiori di gelso.
Quanto era nobile
ferirsi a vicenda,
danzare insieme
sui cocci taglienti.
Avevano
le stesse rughe leggere
che aveva mia madre,
le mani con cui portavi
a tagliarsi i miei passi.
Le ammiro ancora,
ogni tanto,
chiudendo gli occhi
per un istante.
Poi li riapro
e c’è solo il mondo,
e la luce
e le mie,
soltanto le mie
af
24 Luglio 2015 alle 16:17
Ha potere tecnematico stesso il titolo, “Ogni tanto”, che smuove la poesia a una semina memoriale in tutto il tempo della vita, onde il sublime della vicenda amorosa fa di sé disegno variegato sulla vita intera, che se ne adorna e vi s’innalza. Altro efficace tecnema è il terzo verso, quel chiudendo gli occhi, che interna quel processo a far dell’animo una sorta di cielo stellato, in cui si accende la sera che ospitò, di quella storia, la vicenda più tremula d’emozione. Sono poi come altre stelle altri ricordi che vi si accendono, ché tutto vi è infatti giocato dalla luce. È una luce attiva, che muove a tremito le ombre, anzi dice il testo che la luce piccola delle candele “tremolava le ombre” e quest’uso transitivo del verbo tremolare è un tecnema che induce la poesia a far della luce – anche piccola, ma tutta animata di simbologia (bellezza, santità, onestà, intelligenza, amore, eroismo) – un potere che unico e solo muove a vita le cose del mondo.
Domenico Alvino