Stamattina
appena arrivato in ufficio, lo stesso
open space, nella stessa
grande azienda per cui lavoro
da ormai dodici anni,
non appena avviato
il pc ho trovaro
tra altre quindici, una mail
dell’ingegner Ugo Vecchi.
Non l’aveva inviata
a me solo, ma a tutti.
Diceva: quest’oggi
è il mio ultimo giorno in Azienda.
Son stati
dieci anni intensi e proficui
con voi qui in Azienda.
Per ringraziare
tutte quante le belle persone
con cui ho avuto il piacere
di lavorare,
per tutti i momenti
belli e importanti, trascorsi
qui dentro, quest’oggi
offrirò un rinfresco
in sala caffè, alle undici e trenta.
Ho tenuto a lungo
la mail aperta davanti agli occhi
non avevo la minima idea
di chi fosse l’ingegner Ugo Vecchi.
Eppure
per una decade intera io e lui
siamo usciti di casa ogni giorno
diretti
al medesimo posto.
Abbiamo passato
le stesse porte, usato
le stesse scale, gli stessi ascensori,
gli stessi cessi, gli stessi lettori
di schede magnetiche; ci siamo seduti
alla solita mensa,
lamentati senz’altro entrambi
del cibo di merda.
Ho archiviato la mail,
mi sono alzato
in piedi, nel grande open space
mi son chiesto
se Ugo Vecchi potesse
trovarsi lì intorno, quante persone
che non conosco mi vivano accanto,
esistenze
parallele alla mia, destinate
a non incontrarsi mai, se non
all’infinito.
Così
alle undici e trenta sono venuto
in sala caffè,
al tuo breve rinfresco,
ingegner Ugo Vecchi, e adesso
con in mano un bicchiere
di barbaresco, una tartina, io fisso
la tua faccia ordinaria, stringo
la tua piccola mano, fingo
stima e complicità
costruite nel tempo, capendo
dai tuoi occhi smarriti
che anche tu stai fingendo
di sapere chi sono.
Ti sorrido e comprendo
ch’è destino comune
mio, tuo, d’ogni essere umano
che siano
infinitamente di più le persone
di cui non sapremo
mai
neanche il nome.

af