Una volta, molti
anni fa ho preso
un’astronave, uno shuttle. Ricordo
ancora nitidamente
quel giorno, ricordo
il mio cuore
che scoppiava di colpi
profondi e sordi,
come quelli di corpi
celesti scoppianti
nel vuoto,
mentre posavo
passi lenti verso di lei.
Ero a pochi metri da lei, avevo
gli occhi perduti in alto, l’anima
sospesa nel vuoto. Intorno
sentivo la gente guardarmi, io però
ero da solo
davanti alla mia astronave
bianca, lucente, nuova
come un tempo che ancora
deve venire.
Era imballata, l’ho presa.
Ho allungato
una mano e l’ho presa e l’ho messa,
scatola e tutto, sotto
la giacca di jeans della Levi’s, poi
sono fuggito,
spaventato e impunito. Temevo
l’inseguimento del negoziante,
la caccia spietata
dell’autorità inquirente.
Per sicurezza ho fatto
un lunghissimo giro
per tornare a casa, ho descritto
orbite larghe intorno al palazzo,
c’ho messo almeno
due ore e mezzo. Casa mia
quando ci sono arrivato
non era più casa mia,
era un nuovo pianeta
e io molto più grande, molto
più vasti i miei orizzonti
spalancati sulla vastità
nuova dell’illegalità.
Quello,
non sarà bello dirlo,
è stato soltanto
un piccolo furto per l’umanità
ma un intero
viaggio spaziale
per me.

af