La luce fioca dell’ abat-jour e le mie paure tremolanti. Poi tu che entri nella stanza, bella come l’inizio della notte.
E tutto l’amore che mi investe, insieme al tuo profumo.
Quanto è intenso il tuo profumo, quanto è assurdo questo amore. Non capisco più niente.
Ti afferro e ti bacio, cercando di soffocarti. Ti accarezzo come se dovessi ucciderti.
Ti spoglio, ti mordo, non ti do tregua.
E tu ti ribelli, quasi mi strappi i vestiti, mi graffi, mi tiri i capelli.
È una lotta, un duello, e io voglio vincere.
E anche tu.
E invece non vince nessuno, in questa guerra che ci combattiamo da anni, tra tragiche tregue e furiose battaglie.
Ma se scopare ha un significato deve essere questo: bruciare, pulirsi l’anima, sciogliere lo sporco che il mondo ci lascia fin negli anfratti più fondi.
E allora ti prendo, su un letto che non profuma di niente, ti travolgo, ti colpisco con la mia vita, sempre più forte.
E tu chiudi gli occhi e stringi le lenzuola, ti inarchi. Resisti e ti trattieni e poi gridi.
E non lo dici mai ti amo, anche se cerco continuamente di estorcetela, questa confessione, provo a strappartela in ogni modo, giocando col tuo piacere, crudelmente.
Sono un inquisitore, un torturatore. Sono il marchese de Sade. Sono Torquemada.
Tu però non cedi mai. Mi sfidi, ti rivolti, ti innalzi. Afferri il mio cuore e mi trascini, sempre più in alto. Saliamo, sempre più su, verso il sole, saliamo finché non è troppo, finché le ali non ci prendono fuoco.
Allora precipitiamo, giù verso il mondo. Ci schiantiamo, sul mondo.
Poi agonizziamo, tra le carezze più dolci.
Poi è finita. Poi ti rivesti e poi te ne vai. E tutto ciò che la mia vita ti lascia addosso è il segno rosso d’un morso, che tra poco andrà via.
Un segno rosso e nient’altro.
Riprendo i vestiti, li controllo, li indosso e torno ad essere la persona che tutti conoscono.
Di nuovo nei miei pantaloni, fissando la luce rossa dell’insegna che filtra dalla finestra, cerco un’altra volta di cancellarti per sempre.
Chiamo Anna e le dico che sono ancora in ufficio, ma tra poco esco, sto facendo gli straordinari. Le dico di non arrabbiarsi e che questi son tutti soldi che entrano e ci paghiamo una bella vacanza.
Andremo in Sardegna, ad agosto. Farò finta di amarla.
Mi concentro sul fatto che tra poco sarò da lei, mangerò quello che mi ha lasciato da parte, giocherò un po’ con Carlo prima di metterlo a letto. Andrà tutto bene.
L’unico pensiero che mi pesa dentro è la consapevolezza che, una volta varcata la porta di casa, dovrò affrontare gli occhi di Agata, pieni di disappunto e tristezza.
Perché Agata è l’unica che lo sa e me lo rinfaccia. Non so come, ma in qualche modo lei lo ha capito, lei sola. Lei che è un’esperta, è del ramo.
Lei che è un cane lo sa: non sono fedele.

af