Io sono un uomo buono. Un uomo simpatico sono. Un tipo sono io.
Un tipo… Sì, insomma, un cesso.
Non è che io creda di essere un cesso. Io so di essere un cesso.
Ho studiato e vissuto abbastanza da non credere più a tutto ciò che si dice, e non mi impongo di dire cose in cui non credo, ma che la gente si aspetta, per garantire lo scorrer del viver quieto.
Io sono brutto e lo dico.
Con questo naso, questa luce vuota negli occhi, la schiena storta e… No, sbaglio ancora, elenco difetti. Come se la bruttezza fosse somma algebrica di difetti e la bellezza somma di pregi. Non è così.
La bellezza di una persona è data dall’armonia dei suoi difetti, credete a me. Senza difetti, la bellezza non esiste. Così la bruttezza. Non basta avere difetti, bisogna averne di dissonanti. Io li ho, e sono brutto.
Oh non l’ho accettato subito, no. Prima ho lottato, non mi son rassegnato alla mia condizione di cesso. Prima ho creduto a tutti i vostri cazzo di luoghi comuni: ogni scarrafone, de gustibus, eccetera, eccetera, eccetera.
Ma quando te lo dicono tutti. Quando, peggio, te lo mostrano, quando lo vedi riflesso negli sguardi di chi hai davanti, be’, alla fine capisci: hanno ragione loro.
In fondo loro sono tutti. E tu sei solo.
Anche avessero torto avrebbero ragione comunque.
Allora fai l’unica cosa possibile: lo accetti. E sei libero.
Oh! Io sono un cesso! Che felicità! Non devo preoccuparmi di niente, io. Sono oggettivamente brutto. Non devo preoccuparmi, ad esempio, di poter non piacere.
È a voi che può capitare – e capita – lo strazio di innamorarvi di qualcuno a cui non piacete. A me no! Io non posso piacere, non è un problema mio, piacere. Soffrire di questa cosa sarebbe come soffrire di non poter volare o passare attraverso i muri. Io sto nella mia bruttezza e ci sto bene, mi ci son stabilito.
Solo una volta ho rischiato di uscirne. Sì, ma da quella volta…
Una ragazza, una festa.
Parlava pianissimo. Beveva molto velocemente.
Anch’io bevo molto velocemente. Non ho paura che l’alcol mi imbruttisca.
Mi sembra si chiamasse Lisa, ma non importa. Facciamo che si chiamava Lisa. Aveva i capelli biondi, ricci, gli occhi celesti. Eravamo solo io e lei, a fine festa, ubriachi. Mi è venuta di fronte, mi ha carezzato una guancia, mi ha detto, pianissimo: “sei bello, mi piaci”.
Era la prima volta che sentivo quelle parole. La prima.
Allora l’ho guardata anch’io, nel profondo degli occhi suoi belli, e le ho detto: “che cazzo dici, Lisa? Sei scema? Sei cieca? È una trappola?” E le ho dato una testata, in mezzo agli occhi. L’ho guardata cadere, all’indietro.
Poi me ne sono andato.
Stavo bene.
Lo so, avevo detto che ero uomo buono e simpatico, all’inizio. Ho mentito.
Io fingo di essere buono e simpatico. In realtà dentro sono orribile. Non sapete quanto. Considerate quanto son brutto fuori. Ecco, dentro son peggio. E mi piace. Mi fa sentire meno brutto fuori. E mi piace dare testate alla gente, mi fa sentire leggero.
Perciò non ditemi cazzate del tipo: “la bellezza è negli occhi di chi guarda”. Perché io non cerco proprio un cazzo negli occhi di chi mi guarda. Io gli occhi di chi mi guarda li chiudo e basta. A testate.
Sono pieno di bozzi in fronte, a forza di dar testate, ma non m’importa.
Vado in giro nelle notti assurde di questa città, per le sue strade. Seguo le persone, quelle più belle. Le avvicino, faccio il buono, il simpatico. E appena posso testata.
Testate a tutti, dritte sugli occhi.
Anche adesso, appena ho finito, vengo lì e testate!
A te. E a te. Pure a te.
Siete belli. Quindi testate.
Che volete farci? Io sono fatto così: do testate e mi sento meglio.
Ma non odiatemi, né biasimatemi. È soltanto la mia natura.
Io sono un cesso, solo questo posso fare: scaricare, in qualche modo, la merda che il mondo mi ha messo dentro.
af
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