In piedi accanto al letto, mi guardo riflesso nella parete a specchio. Tendo i muscoli addominali, verifico la sporgenza dei pettorali. Poi ruoto facendo perno sulla punta dei piedi e mi osservo di profilo, valutando l’assenza di rotondità della pancia, le maglie larghe e precise della rete degli addominali. Fletto le gambe e mi piego leggermente in avanti, lasciando emergere il disegno dei dorsali, gonfiando la massa dei quadricipiti femorali. Poi mi rimetto dritto, nella posizione di partenza, mi sfilo i boxer e li lascio scivolare fino a terra, allontanandoli con un rapido movimento del piede. Completamente nudo mi passo le dita sulla testa liscia e le incrocio dietro la nuca. Il mio corpo è lucente. I miei tatuaggi risplendono. Sono indubitabilmente bello.
Mi fletto in avanti afferrando saldamente le caviglie, le mie gambe sono tese, la colonna vertebrale precisamente arcuata.
Non posso vedere l’immagine riflessa, ma so con certezza che richiama un’idea di impeccabile perfezione fisica, l’estasi della proporzione, un ideale greco. Trattengo il respiro, chiudo gli occhi e mi immergo profondamente nel tepore dell’autostima.
Suona il telefono e mi rialzo, uscendo dal bozzolo di compiacimento che mi proteggeva. Immagino chi possa esserci dall’altra parte dell’apparecchio e lo lascio squillare due, tre, quattro, cinque volte. Squilli lunghi nel silenzio della stanza. Poi scatta la segreteria.
-Lothar!
Il mio nome, pronunciato dalla sua voce gonfia di rabbia, risplende di precisione come la lama di un pugnale. Allargo le gambe e contraggo i muscoli dei glutei.
-Lo so che ci sei, brutta testa di cazzo!
Con una mano mi accarezzo l’addome, ammirando lo spettacolo meraviglioso di un’erezione che si dischiude come un fiore di dalia. Posso percepire distintamente lo scorrere del sangue richiamato a gran voce là dove si concentra la mia vita.
-Ho qui davanti la relazione che mi hai consegnato. Che cazzo significa? Sei rincoglionito?
Quando si arrabbia così le si gonfiano le vene del collo. È la rabbia disperata di chi ha avuto la bellezza e l’ha persa. Vorrebbe che la scopassi ancora, ne avrebbe bisogno per sentirsi viva.
-Merda, sono le dieci pagine più inutili che mente umana abbia prodotto. Ti direi di correggerla ma è impossibile: sei troppo scemo per riuscire a capire dove hai sbagliato. Ho chiesto a Stein di prepararne una decente. Vaffanculo, Lothar!
Sfiorandomi ripenso alla morbidezza mielosa dell’interno delle sue cosce, al gusto della sua pelle.
-Abbiamo dovuto rimandare la presentazione per colpa tua, ignobile mentecatto.
Ripenso agli scatti della sua schiena, al grido delle sue viscere, al suo sudore salato.
-Questa volta è troppo, Lothar, lo capisci?
Esiste un solo un potere al mondo, e non è quello gerarchico che crede di possedere lei.
-Senti, se un cervello da qualche parte ce l’hai, sbrigati a venire in ufficio.
Ripenso alla forza meccanica delle mie mani strette intorno al suo bacino, alla fragilità delle sue ossa che avrei potuto spezzare in qualunque momento.
-Ti do la possibilità, l’ultima, di convincermi a non licenziarti.
C’è solo il potere d’acciaio della bellezza, tutto il resto è futile.
-TI dico già che non sarà facile.
C’è solo il lampo abbacinante della mia esatta bellezza, tutto il resto sprofonda nell’ombra.
-Vieni presto.
Ci sono solo io, riflesso in uno specchio, fiero, giusto, meraviglioso.
-Ti prego.
La comunicazione si interrompe. Continuando a guardarmi negli occhi abbandono il mio sesso e trattengo la voglia che avrei di baciare la mia immagine.
Non ho fretta, sorrido, mi dico “ti amo” e vado in bagno a lavarmi.

af